27 Settembre 2018
L’usurpazione del titolo di proprietà industriale: uno spauracchio da esorcizzare o opportunità di consolidamento dell’asset?
Gli asset immateriali di operatori del mercato che producono e distribuiscono ingenti quantità di prodotto, richiedono un monitoraggio continuo al fine unico quanto essenziale di verificarne lo stato di salute, sovente minata da attacchi esterni che ne compromettono l’incolumità, quale presupposto della capacità di performance sul mercato. Di fronte a tale scenario, è necessaria la consapevolezza che il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale di cui all’art.517 ter del codice penale, si realizza anche nel caso di «opere di design industriale destinate alla produzione seriale».
I beni soggetti alla protezione relativamente alla proprietà industriale sono tutelati dall’art. 2, n.10, Legge n.633/1941 quando i beni abbiano uno specifico carattere creativo e contenuto artistico.
In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.2402/18, depositata il 22 gennaio 2018 in seguito all’esame del caso specifico, secondo cui era stato ritenuto colpevole, dai giudici di primo grado, l’imputato per aver fabbricato e commerciato beni realizzati, usurpando titoli di proprietà industriale, ovvero producendo e commercializzato prodotti simili ai manufatti della ben nota società Thun e pertanto condannato al risarcimento del danno in favore della Thun S.p.a.
La richiamata pronuncia, ha ripreso il concetto proprio della proprietà industriale, che attiene la “Novità, individualità e valore artistico”.
I modelli Thun sono immediatamente riconoscibili nella percezione dei consumatori per il carattere della novità (non essendo presenti sul mercato, prima delle loro ideazione, prodotti simili) e della individualità, che rende possibile «cogliere un’impronta peculiare ed unica che riconduce alla collezione Thun».
Il valore artistico delle creazioni, tutelate dalla proprietà industriale non necessitano di un riconoscimento per cui le opere devono essere ritenute vere e proprie espressioni di arte figurativa e di conseguenza non rileva che le stesse potrebbero essere prodotte in larga scala, «dal momento che ogni opera industriale è destinata ad essere sfruttata attraverso processi di fabbricazione seriali».
Tale principio, ha spinto la Corte di Cassazione per il caso Thun, ma è estensibile anche nel caso di riproduzione e rappresentazione di immagini e manufatti di arte sacra, per cui la distribuzione e la vendita massive di immagini notoriamente limitate a poche fonti ispiratrici, potrebbe far incorrere l’imprenditore nella violazione della proprietà industriale di altri operatori, posto che nel caso del prodotto e/o immagine di arte sacra, il confine non è sempre definito.
Specifica la Corte di Cassazione, infatti, che: «il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale è integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale, le quali sono tutelabili a norma dell’art. 2, n. 10, della l. n. 633/1941 ove ricorrano le condizioni normativamente indicate, date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera».
L’ordinamento processuale, che prevede il rito da celebrarsi innanzi al Tribunale delle imprese nella fase giudiziale, oltre che la fase stragiudiziale prevista dal D.Lgs.n.30/2005 (Codice della Proprietà Industriale), pone norme di tutela degli asset che affiancate a quelle di carattere sostanziale, garantiscono la conservazione dei diritti di proprietà industriale e dell’anteriorità, tali che la risonanza della vicenda giudiziaria tesa alla tutela in molti casi si è rivelata un insolito e non programmato strumento di proiezione nel mercato del segno distintivo protetto, tale da far giungere alla abnorme conclusione che un atto illecito si atteggi come strumento di marketing a favore del titolare del diritto stesso.
A cura dell’avv. Veronica Fernandes – Senior Executive Intellectual Property